
Donato Verrastro
Docente di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi della Basilicata e Direttore del Centro Studi Internazionali Emilio Colombo.
Emilio Colombo, un cattolico impegnato in politica
Tratto da Il Lucano Magazine, Anno XVII N.145, Marzo-Aprile 2020
Nella primavera del 1948 fu inaugurata in Italia la prima Legislatura repubblicana: un allora ventottenne Emilio Colombo, reduce dalla prima esperienza politica nei banchi dell’Assemblea costituente, si accingeva ad assumere il sottosegretariato all’Agricoltura e foreste, ministero allora retto da Antonio Segni nel quinto Governo De Gasperi; un giovane inesperto, ma promettente, forte del consenso elettorale ottenuto nel Collegio lucano, si presentava così sulla ribalta politica nazionale.
Proprio nell’anno che inaugurava di fatto una lunga carriera politica che lo avrebbe visto impegnato sempre ai vertici delle istituzioni nazionali e internazionali, Colombo diede alle stampe il primo scritto giovanile dal titolo Spiritualità della politica. Ossia “da Montecitorio al Tabor”, pubblicato su «Tabor. Rivista di vita spirituale», un periodico diretto da Luigi Gedda: in esso, Colombo rifletté sul ruolo e sulle qualità del politico, in un ragionamento che accostava il profilo del cattolico a quello dell’uomo di governo, impegnato nella ricostruzione materiale e morale del Paese. Il perseguimento del bene comune, tanto sotto il profilo dell’impegno laico quanto secondo l’ottica spirituale, da perseguire quale finalità ultima dell’agire politico, rappresentava, nel giovane Colombo, una costante alla quale avrebbe in seguito improntato il proprio impegno.
Fu quello il tempo in cui dovette maturare, con molta probabilità, non solo una consapevolezza maggiore rispetto alle logiche di una politica forse eccessivamente sublimata negli anni giovanili, ma anche il senso di un impegno autenticamente laico all’interno di quelle istituzioni repubblicane alle quali avrebbe dedicato la vita intera; il Parlamento, percepito come il luogo della sovranità popolare, si mostrava a lui come la sede del compromesso (che in lui si sarebbe tradotto, in seguito, nei tratti qualificanti della mediazione), delle logiche di parte, degli egoismi e degli interessi personali, facendogli sperimentare, a ventotto anni, la delusione per un ideale politico da più parti tradito e che in lui, invece, si era consolidato durante la recente militanza e l’impegno diretto nell’associazionismo cattolico.
Fu proprio in questa scia di progressiva maturazione del proprio ruolo di cattolico impegnato in politica che si sarebbe inalveata l’esperienza successiva di uno statista capace, nel fluire lento di un cinquantennio, di operare negli anni della ricostruzione post-bellica, quando più scoperte si sarebbero mostrate le piaghe di un Paese che, inserito nell’orbita atlantica, avrebbe dimostrato di essere in grado di risollevarsi piuttosto in fretta. Il suo impegno, diviso tra la politica locale, della quale fu indiscutibile protagonista, e i grandi processi di carattere nazionale e internazionale, fu l’espressione netta di una capacità di azione su fronti diversi, come alla guida di ministeri centrali per gli assetti produttivi (Agricoltura e foreste, Industria e commercio, Commercio con l’estero), dei dicasteri economici (Tesoro, Bilancio, Finanze) o di quelli legati all’infrastrutturazione del Paese (Lavori pubblici), fino all’esercizio della mediazione, svolto ai massimi livelli della diplomazia internazionale (Affari esteri).
Presidente del Consiglio dei ministri dal 1970 al 1972, gestì, tra l’altro, la delicata fase fondativa delle Regioni a statuto ordinario, affrontando anche le gravi inquietudini che ne sarebbero scaturite.
In Europa, ove giunse come parlamentare nel 1976, si batté per il sogno dell’unificazione politica, accreditandosi per capacità diplomatiche e statura politica, fino al punto di essere designato quale primo presidente (ancora una volta protagonista di una stagione costituente) del Parlamento europeo. L’impegno profuso nel superamento della «crisi della sedia vuota» o nell’azione di rilancio del sogno europeista attraverso l’atto «Colombo-Gensher», gli valsero i prestigiosi riconoscimenti Carlo Magno e Jean Monnet.
L’inquadramento del suo impegno nelle coordinate spazio-temporali del secondo dopoguerra inducono a riconoscere in lui, al di là di ogni operazione retorica e di circostanza, l’impegno di un cattolico in politica, protagonista delle fasi costituenti e periodizzanti della storia italiana e internazionale, sostenitore del progetto europeista e protagonista di una politica internazionale di matrice euromediterranea, capace di restituire all’Italia quella leadership che, nei decenni precedenti, era stata drammaticamente compromessa. A cento anni dalla nascita, intanto, rimane di lui un esempio alto di politica, nel quale anche i limiti umani, che nello scritto del 1948 avevano trovato spiegazione nella natura corrotta delle creature, non scalfiscono affatto la capacità di puntare a una dimensione «altra» dell’esperienza terrena, in cui il bene comune, obiettivo indicato da quella dottrina sociale della Chiesa a cui si era ispirato in vita, rappresenta la spinta iniziale e l’obiettivo ultimo a cui deve sempre tendere un politico che possa ritenersi davvero all’altezza del proprio compito.
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